Cho Teko
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« inserita:: 09 Aprile 2005, 16:43:42 » |
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L'ho buttata giù così... boh.
Quando si svegliò, Nicola Berté era tutto indolenzito. Non riusciva nemmeno a muovere i muscoli o ad aprire la bocca; "Maledettissima vecchiaia! - pensò - se avessi cinquant'anni di meno, adesso sarei già in mezzo alla strad..." interruppe queste profonde riflessioni molto bruscamente: si era appena reso conto di non essere solo in casa. Sentiva dei passi, una voce che chiamava, sempre più forte, e poi distinse chiaramente: "Papà! Dove sei?"; era suo figlio, Alessandro. Fece per alzarsi e andargi incontro, ma non riuscì a muoversi. "Papà! Eccoti! Perchè non rispondi?", gli chiese Alessandro, agitatissimo e preoccupato del fatto che il padre fosse così immobile. "Ma certo che no, stupido! E' che non ho voce!", e anche stavolta, gli rimase tutto in gola. "Ma che cavolo sta succedendo?! Questi non sono problemi di vecchiaia!". Intanto alessandro si era avvicinato, e lo guardava tremando; cominciò a scuoterlo, inutile dire che Nicola ne era infastidito, e si chiedeva perchè. Alessandro corse verso il comò in fondo alla stanza, e prese il vecchio specchietto che c'era sopra. Quindi si avvicinò di nuovo al padre, e gli mise lo specchietto sotto il naso, aspettando. Nicola lo guardava allibito, ma cominciò a pensare che fosse completamente impazzito quando si allontanò, e si diresse lentamente piangendo verso il telefono, per poi telefonare ad un suo amico e urlare in preda al panico "E' MORTO! E' MORTO! CHE DEVO FARE?!". Dopodichè Alessandro si sedette su una sedia, guardando il padre immobile, ad aspettare. Intanto il cervello di Nicola era impazzito. "MORTO? IO? MA DOVE LO VEDI, RAZZA DI RIMBAMBITO MEZZO CIECO?! - pensava - SMETTILA CON QUESTO STUPIDO SCHERZO O VERAMENTE IO TI...!". Bussarono alla porta, pochi minuti dopo. Tre persone, di cui due vestite di nero, erano appena entrate nella stanza, scuotendo la testa. L'altro - Nicola lo conosceva bene: era un caro amico di suo figlio - corse ad abbracciare Alessandro, cercando di consolarlo. Intanto i due uomini vestiti di nero guardavano attentamente Nicola, che cominciava a sentirsi sempre più a disagio. Quei signori cominciarono a muoverlo, e allora sentì che il letto era umidiccio. "...Mi sono pisciato addosso!? Oddio no, anche questo adesso!". Gli uomini in nero guardarono Alessandro: "Lo portiamo via?", "Fate pure", fu la risposta. "PORTARMI VIA?! ODDIO MA CHE HA FATTO QUELL'IDIOTA?", e finalmente realizzò: mi ha messo in una casa di riposo! Non c'è spiegazione! Lurido verme! Chissà quanto l'hanno pagato!". Nicola veniva dalla guerra, ed aveva visto i campi di concentramento; era convinto che le case di riposo fossero qualcosa del genere, o un luogo in cui fare esperimenti sui vecchi. Non avrebbe mai e poi mai messo piede in un posto del genere. "Schifoso! Mi avrà anche drogato: è per questo che non riesco a muovermi!". Mentre i due tizi in nero lo portavano giù in barella, tutto cominciò a farsi confuso. Non distingueva bene le figure, cominciava a girargli la testa, poi buio. Era tutto buio. Dormì. Quando si svegliò, fu ancora più esterrefatto del giorno prima: era in una bara. "Ma questi sono matti! VOGLIONO SEPPELLIRMI VIVO! AIUTO!" lontano da lui sentiva canti, poi una voce che recitava delle preghiere, e poi... "La messa è finita, andate in pace" arrivò, leggero, alle sue orecchie. "Oh, santo Dio!". Era ancora buio. Silenzioso, però. "Voglio uscire! VOGLIO USCIRE! IO SONO VIVO!", cercava di gridare, ma nessuno sarebbe mai venuto; e lui rimase lì, per sempre, in compagnia di sè stesso, prigioniero nella sua mente.
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