Cho Teko
|
|
« inserita:: 02 Marzo 2005, 14:47:26 » |
|
Una storia come tante altre…
Quella che sto per raccontarvi è una storia come tante altre, una storia di quelle comuni, solite, di vita quotidiana. A allora perchè raccontarla? Perchè è giusto che tutti sappiano, quello che succede in questo paese. Quello che succede in questa città. Tutti I giorni, semplicemente. Come se questa cosa potesse DAVVERO essere una comune storia di vita quotidiana. Dovete sapere che c'era un mio amico, il cui nome ometterò in questo documento. Lo chiameremo Giacomo. Giacomo era un ragazzo semplice. Andava bene a scuola, aveva successo con gli amici, e andava forte negli sport. Era un ragazzo felice. Aveva un futuro. Perchè parlo al passato? L’avete già capito tutti, ovviamente… Giacomo è morto. Ma andiamo con ordine. Era una mattina come tante, e Giacomo è venuto a bussare al mio citofono per andare a scuola. Io sono un dormiglione, e mi aspettava sempre una decina di minuti prima che io riesca a scendere. Quel giorno però arrivai subito. Si me lo ricordo bene. Giacomo era sorpreso, mi prendeva in giro… Ci avviammo verso la scuola, non ci eravamo accorti di nulla. Non ci eravamo accorti di… Di quel ragazzo. Che strano vero? Ne parlo come se lo temessi, quasi con rispetto. Eppure era un ragazzo, proprio come me. E’ davvero strana la sensazione che si prova nel parlare della morte del proprio migliore amico con tanta leggerezza, è difficile trasmettere I sentimenti di sofferenza, di vuoto che mi invadono in questo momento. E’ incredibile il fatto che un ragazzo, si un ragazzo lo ripeterò sempre, possa essere così diverso da un altro. Si, perchè quel ragazzo, quella mattina, aveva la nostra età, la nostra istruzione, la nostra stessa volontà di avere successo, di riuscire. Quel ragazzo però, ha tolto la vita ad uno di noi. E l’ha fatto volontariamente. E’ questa la cosa strana. Come può essere che delle persone tutto sommato molto simili, delle persone con la stessa spensieratezza, possano decidere di farsi del male? Il motivo, è sempre lo stesso. E’ quella dannata cosa che infesta le nostre vite, la nostra casa. Si perchè tutti ne abbiamo. E più ne abbiamo più ne vogliamo. Avrete capito tutti, che questa cosa è il denaro. Si il denaro. E’ quella la spiegazione. E’ quel bug di progettazione del mondo che può modificare qualcosa. E’ l’unica cosa in grado di spingere fino alla violenza, fino alla morte. Ma torniamo alla nostra storia. Camminavamo tranquilli, e anche quel ragazzo. No un momento. Ho sbagliato. Noi camminavamo tranquilli. Quel ragazzo faceva finta. Si perchè lui aveva chiaro in mente che noi eravamo le sue vittime. Noi eravamo la sua preda, lui il nostro predatore. Ma anche con una ragione come il denaro, non è facile far del male ad un’altra persona che potresti tranquillamente essere tu, in un’altra situazione, in un altro luogo. Quindi lui fingeva tranquillità, ma in realtà era nervoso. Si nervoso come mai in vita sua. Lui stava per trasgredire alle regole della programmazione, grazie a quel bug che è il denaro. Sono le 7:48. Siamo praticamente soli per la strada. E’ allora che ci accorgiamo di quel ragazzo, ma è troppo tardi. Giacomo era molto preoccupato, io un pò meno. Io non ho mai tenuto al denaro. Ho sempre tenuto di più alla vita, agli amici… Giacomo però era coraggioso. O stupido, dipende dai punti di vista. Lui ci teneva a ciò che era suo. Quando il ragazzo si avvicina e sputa la solita e ovvia frase ‘Dammi I soldi’ Io dico a Giacomo di darglieli, senza fare storie. E faccio così. Ma Giacomo purtroppo non lo fa. Giacomo si è opposto all’ingiustizia di quel bug. No no, un momento. C’è un’incongruenza nel mio ragionamento. Lui non si è opposto a quel Bug, lui ci è cascato dentro, come il nostro predatore. Allora adesso ho capito. Il denaro porta all’avidità. E Giacomo, vittima di questo Bug ha dovuto cedere, lasciarsi trasportare. Si è opposto dicevo. Ricordo che gli disse di no… che non gli avrebbe dato nulla… Ovviamente lui la prese male e tirò fuori il coltellino. Giacomo cosa fece? Cosa facesti? Lui vacillò un momento, in bilico, tirato dal bug da un lato, e dal buonsenso dall’altro… Non seppi mai quale la vinse. Il nostro predatore era furioso e non voleva aspettare. La sua calma apparente era svanita, e tutto il suo nervosismo si era sprigionato in ira. Si in ira. Le sensazioni sono come l’energia. Si trasformano, ma non possono essere distrutte. In quel momento il predatore era instabile, ricordo bene la sua perplessità al rifiuto di Giacomo. Poi capì: doveva farlo. Se cominci a sprofondare, poi non ti fermi più, e il passo era breve. L’ira gli accecò I sensi. Accoltellò Giacomo. Una volta. Due. Giacomo cadde. Si cadde. E’ interessante come possa essere semplificato tutto. Il linguaggio è intrinsecamente sbagliato purtroppo. Non si può esprimere quello che si prova, l'ho già detto, ma anche raccontare I fatti è difficile. Una storia così può sembrare semplice, ma vi invito a ragionare sulla sua enorme complessità. Si Giacomo cadde. Un ragazzo uguale a lui, in preda alla potenza del denaro, dell’avidità, lo minacciò. Poi non riuscì a trattenersi, e lo uccise. Questi eventi, che dovrebbero essere tutti analizzati accortamente per poter assorbire ogni loro particolare più nascosto, si possono riassumere in due righe. E tutta questa complessità, dietro a cui si cela il pensiero, l’essere umano in quanto pensante, termina con un finale strano, quasi comico. Una caduta. Ricordo bene. Cadde con la nuca, fece anche uno strano rumore. Quella storia, quell’episodio, durati poco più di mezzo minuto, sono stati più lunghi di tutta la mia vita. Era tutto lento, quasi fermo. Il sangue del mio migliore amico scorreva, era morto davanti a me. Io e il predatore ci guardammo, poi lui scappò. Io non potevo nemmeno urlare, piangere. Non ne avevo la forza. Non ne avevo il coraggio. Rimasi lì. Fermo, per un secondo lungo quanto un’era, ragionando. Assurdo. Come potevo ragionare? Pensando. Ecco. Pensieri che si affollavano nella mia testa confusamente… il coltello, il mio amico, il sangue… morte. Ecco quello fu subito una luce. Dovevo aiutare il mio amico, forse era possibile. Com’era il numero dell’ambulanza? Dannazione! 114? No no! il 112 è l’SOS! Chiamai loro. Arrivarono dopo pochi minuti un’ambulanza e una macchina dei carabinieri. Mi ricordo che mi posero molte domande… Troppe… Non capivo, non riuscivo a riordinare le risposte. Dalla mia bocca uscivano suoni sconnessi, gemiti, parole senza connessione tra loro. Mi ripresi alcuni giorni dopo. La polizia mi chiese come fosse fatto l’assassino, ma io non ricordavo… Si non ricordavo nulla… Era una sensazione assurda. Io c’ero. Dipendeva da me la sorte che sarebbe toccata all’assassino del mio migliore amico e io non riuscivo a ricordare nulla. All’improvviso mi venne in mente ‘LUDOVICA!’. Si, la sua ragazza. Ludovica… dissi questo alla polizia ‘ludovica’. Loro non capirono. Ricordo che dissero ‘E’ ancora sotto shock’. Sotto shock… Parlarne ora è diverso, I ricordi mi portano dolore, rabbia, amicizia. Ma allora non avevo alcuno di questi sentimenti. Si perchè ci sono degli eventi che possono distruggere I sentimenti. Quei rari eventi sono gli shock. Lo shock deriva dal portare all’estremo il bug delle sensazioni umane, deriva dalle sue conseguenze. Poco a poco però, mentre I poliziotti discorrevano cinicamente del mio stato, I ricordi riaffiorarono. Ricordavo e parlavo… e ricordo che anche le lacrime stavano uscendo, come le parole. Ma io non ero lì, io ero rimasto al luogo dove si era consumata la tragedia e capivo… Finalmente capivo… I carabinieri segnarono tutto quello che dissi. Fecero una rapida bozza dell’aspetto dell’assassino, e mi dissero ‘faremo del nostro meglio’. In classe il giorno dopo ci fu silenzio. Anche dopo due giorni, settimane... la professoressa di lettere ebbe un infarto durante uno dei lunghi attimi di silenzio ma se la cavò. Un giorno mi arrivò un ufficiale della polizia a casa ‘Credevamo fosse giusto informare il ragazzo’ dissero ai miei. ‘Il giovane assassino è stato ritrovato morto in una baracca nel porto’. E così finì quella storia. Non c’era nessuno da punire: l’assassino era morto. Non c’era più nulla da fare… quella storia drammatica si concludeva così, esattamente un mese e mezzo dopo. Finita. E Giacomo ora è uno dei tanti, E’ stato dimenticato dalla polizia e la famiglia cerca di continuare a vivere. Io però non capivo. Io non riuscivo a comprendere alcune cose di quella vicenda: Come è successo? PERCHé é SUCCESSO? A queste domande ora mi rispondo vagamente con quello che leggete sopra, ma non sono soddisfatto. Non riesco a capire nonostante siano passati 15 lunghi anni. Io non riesco a dimenticare lo sguardo di Giacomo mentre cadeva, non riesco a credere che per tutto quel dolore, tutta quella rabbia, la sofferenza, non ci sia più un colpevole. Qualcuno DEVE pagarla! No! NO! Non c'è nessuno con cui possa prendermela. Posso valutare la situazione quanto voglio, ma a che mi servirebbe? Giacomo è morto, ed è solo uno dei tanti. Di solito queste storie si concludono con accuse al terrorismo o alla mafia, ma a me a cosa serve? Chi accuso io? Nessuno. Giacomo è morto. E basta. L'unica cosa che posso sperare è che chi legge questa storia possa capire le emozioni che sono implicate in una storia così semplice, così breve.
Dark.
[E' stato il mio primo racconto decente, e forse l'unico. Vorrei che un paio di persone commentassero, orrori grammaticali a parte :°]
|