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Autore Discussione: Tentativo  (Letto 4239 volte)
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Cho Teko
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« inserita:: 14 Maggio 2005, 20:39:36 »

Ho di recente studiato metrica, rima, e le regole generali di come dovrebbe essere composta una poesia, quindi ho provato a scriverne una. Il tema generale doveva essere sull'omicidio e sull'ingiustizia del togliere la vita agli altri, ma per rispettare scrupolosamente le regole (e non sono affatto sicuro di esserci riuscito), la poesia è venuta fuori abbastanza incomprensibile e ridicola (probabilmente è dovuto alla mia povera conoscenza di vocaboli). Ho cercato di scrivere una ballata a una strofa, che mi è sembrato di gran lunga il modo più semplice, ma non sono certo, ripeto, di esserci riuscito..


Non scegliamo noi tra vita e morte

C’è forse bisogno di uccidere,
per non restare vittime di vita?

C’è forse chi riuscirebbe a ridere,
in tale orrore senza uscita?

Per cui, non spettando a noi decidere,
lasciamo quest’onere a caso e sorte

Non scegliamo noi tra vita e morte


Eccola là, non ridete troppo :°

Assumerò di aver contato bene le sillabe, anche se non ne sono certo, nel descrivere cosa mi aspetto di aver scritto.
In teoria "Non scegliamo noi tra vita e morte" (che è esortativo) dovrebbe essere il "ritornello", le prime quattro righe dovrebbero essere il primo piede e il secondo piede, e la quinta e la sesta riga dovrebbero essere il (o la? Il mio libro lo porta al maschile) volta. La prima riga dei piedi e del volta è di dodici sillabe, ma, se ho capito bene, essendo "uccidere", "ridere" e "decidere" delle parole sdrucciole, quelle righe dovrebbero essere endecasillabi sdruccioli, e quindi dovrebbero rispettare le regole della ballata. Non sono sicuro della prima riga del volta, visto che il mio libro lo schema lo porta così: ?X ABAB?X ?X, specificando solo che il ritornello può essere lungo da 1 a 4 versi. Se invece ho contato male le sillabe, potete anche non leggere tutto il papiello :°D

Il significato, per chi la trovasse scritta troppo male, dovrebbe essere che non dobbiamo scegliere noi tra vita e morte, visto che nessuno potrebbe vivere (tranquillo) col peso di un morto sulla coscienza, quindi lasciamo che sia il caso a scegliere quando farci morire.

Guardandola a mente semi-fresca e con obiettività, mi pare corta, piuttosto criptica, e con un contenuto curato meno del dovuto. Mi perdono da me, essendo la prima, ma adesso lascio a voi la parola :*
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« Risposta #1 inserita:: 14 Maggio 2005, 21:54:47 »

Buona, ma non dovresti essere tu ad analizzarla :P
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« Risposta #2 inserita:: 14 Maggio 2005, 22:07:40 »

Non l'ho analizzata. La mia "analisi", per così dire, sono le ultime tre righe. Il resto è la spiegazione di come mi aspetto che sia venuto, che è tutto l'opposto :P
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« Risposta #3 inserita:: 14 Maggio 2005, 22:11:39 »

Citazione
Non l'ho analizzata. La mia "analisi", per così dire, sono le ultime tre righe. Il resto è la spiegazione di come mi aspetto che sia venuto, che è tutto l'opposto :P
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Mi sono espresso male. Infatti, l'hai commentata. L'analisi è qualcosa di più sterile. Ma non era meglio un bel sonetto petrarchiano ABBA-ABBA-CDE-CDE?
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« Risposta #4 inserita:: 15 Maggio 2005, 09:34:48 »

Citazione
[...]
Ho cercato di scrivere una ballata a una strofa, che mi è sembrato di gran lunga il modo più semplice, ma non sono certo, ripeto, di esserci riuscito..
Ho avuto la sensazione che questo fosse più alla mia portata, ma potrei essermi sbagliato
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« Risposta #5 inserita:: 15 Maggio 2005, 15:23:25 »

Il primo tentativo in metrica è sempre tragico: avevo più o meno la tua stessa età quando iniziai a scrivere la mia prima poesia seguendo le regole tradizionali, e ci mettevo ore solo a capire la posizione degli accenti, il numero delle sillabe, dialefe e sinalefe, versi sdruccioli, tronchi e piani. Sono tutti meccanismi che si imparano con un pò di allenamento, dopo un pò diventano automatici se riesci a farci l'orecchio. Proprio perchè si tratta di conoscenze da cquisire con la pratica, spero non te la prenderai se ti faccio notare alcune imperfezioni: mi limito in questo post a una scialba analisi metrica del tuo componimento, visto che mi è parso di capire che era quello per cui lo hai scritto.

Non scegliamo noi tra vita e morte
Questo è un decasillabo piano, non un endecasillabo: l'illusione dell'endecasillabo può essere data da un'improbabile dialefe tra vita ed e oppure da un'ancor più improponibile dieresi del dittongo oi di noi.

C’è forse bisogno di uccidere,
Questo è un perfetto novenario pascoliano, con accenti 2-5-8. Probabile errore commesso è l'assenza di sinalefe di-uccidere. In più l'ultima parola è sdrucciola, quindi per essere endecasillabo avrebbe dovuto avere 12 sillabe.

per non restare vittime di vita?
Questo, sì , è un endecasillabo con accenti 4-6-10. Quando non c'è bisogno di applicare sinalefe vai liscio...

C’è forse chi riuscirebbe a ridere,
Decasillabo. Sarebbe un endecasillabo se ci fosse dialefe tra riuscirebbe e ridere. Francamente però sono 9 secoli che la tradizione tende a usare la dialefe tra parole piane e monosillabi vocalici.

in tale orrore senza uscita?
Novenario con accenti 2-4-8. Altro errore con la mancata sinalefe tale-orrore e senza-uscita

Per cui, non spettando a noi decidere,
Solito discorso della sinalefe: a me esce un decasillabo.

lasciamo quest’onere a caso e sorte
Questo è un endecasillabo, hai anche applicato correttamente la sinalefe. Tuttavia è uno dei cosiddetti endecasillabi stonati, ovvero non canonici. In questo caso uno dei famigerati endcasillabi con l'accento sulla quinta sede, quella proibita: ònere è parola sdrucciola. Non è un dramma, neanch'io sono ancora capace di evitare completamente questi endecasillabi non canonici...

Non scegliamo noi tra vita e morte
Vedi sopra

Come ti ho anticipato hai fatto un sacco di errori con la sinalefe e la dieresi. Errori è una parola grossa, diciamo che sono sottigliezze. Infatti non esistono regole precise per dire quando vadano usati o no simili accorgimenti metrici. In genere si tratta di scelte legate al buon senso o approvate dalla tradizione.

Ti spiego meglio come funziona il discorso della sinalefe: la sinalefe è quell'artificio che permette di legare l'ultima sillaba di una parola(se terminante per vocale) con la prima della successiva (se iniziante con vocale) in un'unica sillaba. La tradizione da per scontato che vada applicata quando entrambe le sillabe (l'ultima della prima parola e la prima della seconda) non sono accentate. Ad esempio, l'Infinito di Leopardi termina con e'l naufragar mè dolce in questo mare: in due casi, in questo verso, la sinalefe si realizza come elisione in e'l naufragar m'è dolce in questo mare. C'è poi la sinalefe vera e propria dolce-in, che avviene in ogni caso essendo sia la sillaba ce che quella in entrambe atone. Ne deriva che, nel caso contrario, quando invece l'ultima sillaba della prima parola e la prima della seconda sono accentate, si tenda ad attuare la dialefe. I casi intermedi, quando, ovvero quando una sola delle due sillabe è accentata, sono spesso quelli in cui il poeta ha più libertà. Si tende ad attuare la sinalefe laddove una delle due sillabe appartenesse ad una parola monosillabica, mentre è preferibile la dialefe quando si tratta di due parole più lunghe. Se la cosa ti interessa o ti è poco chiara posso informarmi per qualche approfondimento in materia.

Quanto alla struttura adottata, si, è molto semplice, l'ideale per iniziare.

Per ora mi premeva farti notare queste cose. Se magari mi viene in mente qualcos'altro di importante ti faccio sapere. Spero che il mio intervento sia sufficientemente chiaro e costruttivo.
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« Risposta #6 inserita:: 15 Maggio 2005, 15:39:18 »

Non potevo chiedere di meglio, anche se il discorso di sinalefe e dialefe non mi è ancora chiarissimo. Posto un altro tentativo che ho fatto stamattina, in cui ho cercato di dare più chiarezza al contenuto, e questo mi ha reso anche più insicuro sul problema metrica, quindi spero che non me ne vorrai se ti chiedo di analizzare anche questa, e non solo dal punto di vista tecnico :*


Perché esisto? E per quanto ancora?
Ebbene, penso spesso a cosa fare,
voi altri di futuro imboccare?
Ma sarete voi felici, allora?

Potrete viver bene la Signora,
pensando, pure voi, a come fare
per poter, sempre di più, migliorare
il futuro di chi non c’è ancora?

Preferisco stare qui, e godere
della vita presente, riuscire
ad amare, senz’altro paventare

che i rifiuti, senza dover tacere
perché un altro potrebbe smentire.
Come mi si potrebbe biasimare?


Qua sono sicuro di aver fatto degli errori, visto che a leggerla in alcuni punti suona male (specie tra secondo e terzo rigo), ma dal punto di vista di contenuto (l'ho già detto 8888387389271 volte? Lo ripeto :°)) mi piace di più.

(ah, questa ha anche un titolo: Follie preferenziali, come la canzone di Caparezza)
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« Risposta #7 inserita:: 15 Maggio 2005, 19:34:49 »

Allora, tui segno tutti i casi di sinalefe in nero e di dialefe in blu

Perché e[/span]sisto? E per quanto ancora? (decasillabo)
Ebbene, penso spesso a cosa fare, (endecasillabo)
[span style=\'color:Blue\']voi a[/span]ltri di futuro imboccare? (decasillabo)
Ma sarete voi felici, allora? (decasillabo)

Potrete viver bene la Signora, (endecasillabo)
pensando, pure voi, a come fare (decasillabo)
per poter, sempre di più, migliorare (endecasillabo)
il futuro di chi non [span style=\'color:Blue\']c’è an
cora? (endecasillabo)

Preferisco stare qui, e godere (decasillabo)
della vita presente, riuscire (decasillabo)
ad amare, senz’altro paventare (endecasillabo)

che i rifiuti, senza dover tacere (endecasillabo non canonico)
perché un altro potrebbe smentire. (decasillabo)
Come mi si potrebbe biasimare? (endecasillabo)

Vedendo tutti i casi possibili sul tuo stesso testo magari ti chiarisci le idee. Ti faccio riflettere sulla dialefe al verso 3 e sulla sinalefe al 6: la parola incriminata è sempre la stessa, voi: nel primo caso c'è dialefe perchè la parola che segue è plurisillabo e inizia per sillaba accentata (àltri), nels econdo caso invece troviamo sinalefe poichè la parola che segue è un monosillabo, per di più atono (a).

In generale si notano dei miglioramenti, sotto tutti i punti di vista. Stavolta hai saputo coniugare una struttura complessa come il sonetto con un testo discreto. Il tema è quello antichissimo del carpe diem, l'invito a godersi l'attimo è reso con la più classica delle riflessioni sulla fugacità della vita, anche col rischio di essere un pizzico ipocriti, anche a costo di apparire egoisti, perchè il futuro è di chi non c'è ancora. Oscuro il senso dell'ultima terzina (che magari è quella che svela il titolo...), a dire il vero tutto il componimento risente di una struttura scarsamente coesa, che talvolta obbliga a improbabili acrobazie sintattiche a cavallo dei versi. Mi lasciano perplesse anche allcune scelte nella punteggiature. Nel complesso, comunque, un bel miglioramento.
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« Risposta #8 inserita:: 16 Maggio 2005, 11:24:37 »

Vi giuro che non vorreste svegliarvi la mattina e trovare il mondo invaso da analisti.

(barista, mi porta un dialefe on the rocks?)
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